Ex Selca, il Tar: amministratori responsabili dell’inquinamento, dovranno pagare le bonifiche
Flavio Bettoni, Piergiorgio Bosio, Ettore Vacchima e il curatore fallimentare Giacomo Ducoli sono i responsabili dell’inquinamento della ex Selca di Berzo Demo
di Redazione Online Corriere della Sera
La sentenza del Tar di Brescia è arrivata il 12 maggio: i giudici hanno stabilito che Flavio Bettoni, Piergiorgio Bosio, Ettore Vacchima e il curatore fallimentare Giacomo Ducoli sono i responsabili dell’inquinamento della ex Selca di Berzo Demo e che i quattro professionisti dovranno provvedere alla bonifica del sito. Dove sono parcheggiate decine di migliaia di tonnellate di scorie contenenti fluoruri, cianuri e metalli pesanti. Sostanze cancerogene. Tutti e quattro, secondo i giudici, «hanno sottovalutato il rischio accettando che la situazione potesse progressivamente aggravarsi e finire fuori controllo». (Leggi anche: Processo Selca, la verità di uno dei due titolari: «Un’azienda modello»)
La vicenda
La sentenza arriva dopo un ricorso degli stessi quattro protagonisti contro la Provincia di Brescia, che intimava a Flavio Bettoni (presidente del cda dal 2007 al 2010), Piergiorgio Bosio (amministratore unico dal 1997 al 2007), Ettore Vacchina (procuratore speciale dal 2008 al 2009) e al curatore fallimentare di Breno, Giacomo Ducoli (Al lavoro per la Selca dal 2010, indagato per disastro ambientale, nonostante avesse a disposizione 9 milioni rimasti dal fallimento dell’ex azienda che smaltiva rifiuti tossici provenienti da mezzo mondo, non li ha impegnati prioritariamente per le operazioni di messa in sicurezza e bonifica del sito) di provvedere alla messa in sicurezza presentando un piano di «caratterizzazione» dei rifiuti inquinanti. Il Tar, accogliendo «parzialmente» il ricorso degli ex responsabili della Selca, ha deciso invece che tutti e quattro sono responsabili della bomba ambientale e che il curatore, Ducoli, dovrà provvedere entro tre mesi a stendere un piano per la caratterizzazione e la rimozione dei rifiuti agendo sui produttori dei rifiuti o sui detentori. (Leggi anche: Selca, rifiuti bloccati per una diatriba tra Arpa e Provincia)
La sentenza
Così i giudici hanno motivato la sentenza dando di fatto torto ai quattro e stabilendo che sarà il curatore a dover rimostrare che il peso non dovrà essere supportato solo dall’attivo del fallimento: «La contaminazione della falda è stata rilevata quando la curatela fallimentare era ormai insediata da tempo, ed era stata avvertita del rischio ambientale. La mancata rimozione dei rifiuti nel tempo intercorso dopo il fallimento ha certamente aggravato la situazione, ed è quindi una concausa dell’inquinamento. Nella situazione descritta dalla Provincia nella diffida del 19 marzo 2015 l’obbligo di smaltimento o recupero coincide con la messa in sicurezza di emergenza in quanto i rifiuti costituiscono sorgente primaria di contaminazione. Ne consegue che alla curatela fallimentare può essere chiesta sia la rimozione dei rifiuti sia la predisposizione del piano di caratterizzazione. Resta poi ferma per la curatela la facoltà di dimostrare che il peso economico non deve essere sopportato, in tutto o in parte, dall’attivo fallimentare, e di agire in regresso nei confronti dei produttori dei rifiuti o dei detentori precedenti, a tutela delle ragioni dei creditori». (Leggi anche: Selca e i suoi veleni: il rischio prescrizione finisce su Rai Uno)
I giudici: «L’inquinamento è dovuto alla gestione della Selca»
Secondo i giudici, i quattro sono responsabili della bomba ambientale, escluse quindi responsabilità per la ex Ucar e la discarica Graftech. A Berzo Demo la contaminazione accertata è di ferro e fluoruri. Cose da Selca, insomma, e i giudici lo mettono nero su bianco. : «La situazione di inquinamento attuale è riconducibile alle modalità con cui è stata effettuata la gestione dei rifiuti da parte di Selca spa prima e dopo il sequestro penale. Lo stesso sequestro ha verosimilmente inciso sul problema, sottraendo i rifiuti alla disponibilità di Selca spa per circa due anni, ma la responsabilità è di chi ha provocato l’indagine penale dando origine al sospetto di violazioni ambientali. La catena causale risale quindi a prima del sequestro penale, e prosegue nel periodo successivo. Qui si è inserita, quale concausa parimenti determinante, una gestione che ha affrontato una situazione rischiosa con strumenti ordinari. Anche se le singole attività della gestione corrispondono alla prassi normale per impianti di questo tipo, il punto è che è stato sottovalutato il rischio insito nel differimento della rimozione, la quale era stata indicata fin dall’inizio come condizione per il dissequestro e la restituzione. Il fatto che siano state prese alcune precauzioni, come la copertura dei rifiuti mediante teli impermeabili, non bilancia e non cancella la precarietà complessiva della custodia dei rifiuti, evidentemente insostenibile nel medio e lungo periodo. Vi è stata quindi una sostanziale accettazione del rischio che la situazione potesse progressivamente aggravarsi e finire fuori controllo».